#onebookaweek

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“Colui che guarda dal di fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose come chi guarda una finestra chiusa […] Quel che si può vedere in pieno sole è sempre meno interessante di ciò che sfila dietro un vetro. In quel buco nero e luminoso vive la vita, e sogna, e soffre. Charles Baudelaire”.

Non ho dormito stanotte. I pensieri non mi davano tregua. Erano passate poche ore dalla comunicazione di Giuseppe Conte che imponeva a tutta la Nazione la segregazione forzata. Una miriade di domande affollava la mia testa: cosa farò tutto il giorno? Come passerò le mie giornate? Impazzirò chiusa tra quattro mura e quando mi troveranno, di me, non sarà rimasto altro che un corpo grasso colmo di piaghe da decubito?

Stavo esagerando, lo sapevo bene, e così ho lasciato i mille possibili scenari apocalittici che mi venivano in mente e ho provato a immaginarmi e a dar forma a una quotidianità normale nella più totale anormalità.

Mi piace casa mia, ma quello che forse più mi piace, e l’ho capito solo ora, è l’idea di poterci ritornare. Non ho mai pensato alla mia casa senza valutarla in prospettiva dell’uscita dalla porta che dà sulle scale che a loro volta danno sulla strada. Non ho insomma mai valutato se mi piacesse in sé. Ora devo farlo. Devo perché mi conosco fin troppo bene per fingere di non sapere che se non occupo le mie giornate dandogli un senso – un senso per me, mio, non assoluto in generale - facendo qualcosa che dia valore al tempo che scorre inesorabile finirò per deprimermi. E la depressione la conosco, è una discesa violenta verso un fondo che una volta raggiunto ti stordisce, ti svuota di energia, ti porta a una distanza incolmabile dagli altri e da te stesso, che ti rende spettatore della vita che ti vortica intorno senza mai toccarti. Ti lascia assuefatto da tutto, dal dolore e dalla gioia, dal pianto e dai sorrisi, è un galleggiamento perpetuo in una bolla di sapone che ogni giorno che passa diventa sempre più difficile da bucare.

Passano le ore, sono le 9, mi alzo, una sorta di frenesia mi spinge fuori dalle coperte: so cosa devo fare. Mi preparo il caffè, accendo il pc e inizio a dar forma al mio oggi. Ho deciso con l’aiuto di un paio di amici di lanciare un hashtag sulla mia pagina di Instagram, si chiamerà #onebookaweek. L’idea è quella di proporre con cadenza settimanale un libro da leggere, la domenica successiva ci vedremo in videochiamata per parlarne. L’idea è quella, in barba alla reclusione fisica forzata, di oltrepassare le mura dell’appartamento di ognuno, di continuare a viaggiare, ma con il pensiero, in posti lontani, reali o immaginari, di continuare a incontrare “gente”, fatta di inchiostro e non di carne, di continuare a coltivare la nostra socialità attraverso forme nuove rispetto a quelle solite.

Perché se è vero quello che dice Umberto Eco che “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”, noi, da questa reclusione, usciremo come ultimi immortali, moderni Highlander.

Spengo il pc, mi metto comoda sul divano e apro Circe, il romanzo di Madeline Miller, inizia: “Nacqui quando ancora non esisteva nome per ciò che ero. Mi chiamarono ninfa, presumendo che sarei stata come mia madre, le mie zie e le migliaia di cugine”. Osservo ciò che mi circonda, non riconosco immediatamente dove mi trovo, poi capisco, sono al banchetto per le nozze di Elios e Perseide, alla mia destra è seduto Prometeo, alla mia sinistra Oceano.

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