Il gioco della letteratura

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L’idea, alla quale questo blog deve la sua nascita, è venuta a me una sera d’estate, quando il sonno tardava ad arrivare e al suo posto una moltitudine di pensieri presero forma. Si muovevano liberi e incuranti, mentre io ero lì, inerme, a guardarli farsi spazio nella mia testa, per finire con l’occuparla, quasi fosse il palcoscenico di un teatro abbandonato. Sono attori strani questi pensieri, incuranti delle aspettative del loro pubblico, che nello specifico sarei io, e inscenano una recita che parla di quella te che conosci e che proprio stasera non ti va di affrontare. La voce fuori campo tiene le fila di un racconto che inizia con c’era una volta una ragazza di trent’anni, eccola comparire, è assonnata, poverina, sbadiglia e si strofina gli occhi. Il primo attore prende parola e guardandola le chiede se questo suo “gioco” della letteratura fosse finalmente giunto alla fine.

Si perché la letteratura è un gioco, un gioco per chi ti guarda sfogliare testi, per chi proprio non ne capisce l’utilità. Per chi forse poteva accettare le lauree in lettere come un capriccio, un capriccio che con l’età, necessariamente, sarebbe scemato. Un capriccio che ora andava fermato perché: “è arrivato il momento di trovarti un lavoro serio”, e poco contano gli assegni di ricerca vinti e le supplenze effettuate, poco conta che, in fondo, tu te la sia sempre cavata, certo con i soldi giusti per arrivare a fine mese e per permetterti un hamburger con maionese e doppio cheddar, ma con il cuore che ti scoppia perché oggi hai parlato di scrittura creativa – “scritturache? Esistono i format per ogni cosa oggi su Google” ribatte la solita voce fuori campo – o di Leopardi o semplicemente dell’importanza della lettura. Poco conta perché “un bel gioco, dura poco” e il mio, a quanto pare, si è perpetuato fin troppo.

Nasce da un difetto, la testardaggine, e da una caratteristica, quella di cadere, farsi male, toccare il fondo, ma comunque rialzarsi, con l’assoluta certezza che, purtroppo o per fortuna, questo, è ciò che ti riempie l’anima, ciò che ti fa arrabbiare e disperare ma anche ciò che sai fare. Perché se di “far di conto” proprio non sei capace, raccontare storie e leggerle è quello che fai da sempre. Racconti storie a un foglio bianco, le racconti a chi pare non stancarsi mai di ascoltarti, e divori pagine e pagine di chi, più bravo di te, ti trasporta e ti fa entrare, in punta di piedi, in mondi lontani. Ecco quello che cerco di fare qui, continuando a pormi in quella direzione “ostinata e contraria”, continuo fermamente a raccontare, perché se è vero che, da sempre e per sempre, dovrò ascoltare chi su di una cattedra si innalza obbligandomi ad ascoltare consigli, altrettanto vero è che delle mie ore notturne dispongo io, e io fermamente decido di passarle nel modo che più mi piace: giocando al gioco della letteratura. E quando tutto finirà “con i campi alle ortiche ed un flauto spezzato”, io avrò “un ridere rauco e ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto”.

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